Laerenlee

Maria Elena Bavarello


 
Laerenlee avanzava lentamente verso casa, il capo leggermente chino, persa nei propri pensieri. I soffici capelli, lunghi fino alla vita, le incorniciavano il viso giovane e grazioso, dai grandi occhi blu come lo zaffiro e dalle labbra pallide e delicate. Un volto fatto per splendere di sorrisi, ma ora abbandonato ad un’espressione malinconica, se non addirittura triste.
Salutò le sorelle distrattamente, con un vago cenno del capo e poche parole: sapeva cosa avrebbero detto di lei, vedendola così, lo sapeva bene, e non lo gradiva affatto: ma non poteva farci nulla, aveva provato, ma non riusciva, non riusciva…
Si chiuse in un cupo silenzio, mettendosi in disparte; sentì gli occhi delle altre osservarla ancora per un poco, poi avvertì i primi bisbigli. Erano così flebili che non riuscì a comprenderne le parole, né a identificare chi le pronunciava, ma non ne aveva bisogno. Sapeva già cosa avrebbero detto, ed era certa che, come al solito, la prima a cominciare sarebbe stata quell’insensibile ficcanaso di Vrelenlee.
Come aveva previsto, il commento iniziale era stato a carico della sorella maggiore:
“Non ci credo. Non posso crederci. Quella benedetta ragazza non si è ancora adattata…”
“SSSR, Vere! Vuoi forse che ti senta?”
“Mmpf. Che mi senta pure. Le farebbe solo bene.” Rispose risentita alla giovane Elaranlee, ma con tono più fioco. “ Lae è grande, ormai, quasi adulta, e ancora si rifiuta di accettare la realtà! Non ho mai visto nessuno così cocciuto…”
“Hai ragione, certo, lo so: ma povera Lae, almeno per oggi, cerca di non essere troppo severa con lei! Certo, è strana, ma questa sua stranezza non la rende certo più felice, anzi! L’ultima cosa di cui ha bisogno è essere anche rimproverata…”
“Ela, credi forse che non lo sappia? Proprio per questo vorrei che smettesse di arrovellarsi su pensieri inutili e che le portano solo infelicità! Piccola, Lae è anche mia sorella, e se a volte la tratto duramente è solo perché le voglio bene e vorrei che smettesse di tormentarsi una volta per tutte. Vorrei che iniziasse a vivere con un po’ di serenità, come noialtre.”
Elaranlee sospirò “Per te è così facile, Vrel! Ricordo che anche a me un tempo aveva dato qualche problema, anche se l’abitudine e la comprensione mi hanno portato a superarlo presto. Posso capirla, in un certo senso, anche se…”
“…anche se non è normale, né salutare, che i problemi perdurino per più di qualche anno, al massimo. E poi rovinarsi la vita… per cosa? Per quegli idioti? Per quei rozzi, sgraziati maschi, troppo stupidi per resistere…”
“Ssst, calma, calma” interloquì Elaranlee, prima che il tono della sorella, trascinato dall’emozione, si facesse troppo sonoro “Vrel, non devi convincere me.”
“Scusa, hai ragione. Ma vederla così…”
“Lo so, sorella, lo so. È che ormai noi abbiamo fatto tutto il possibile: accettare la propria natura, ora, dipende solo da lei”
 

Laerenlee scosse la testa, gettando all’indietro la massa di capelli bagnati che le erano caduti davanti agli occhi. Trasse un profondo respiro, assaporando l’odore misto di mare e di piante, ammirando i verdi cespugli ornati di fiori che rivestivano parte del basso promontorio e dell’insenatura che lo affiancava. Le piaceva quel luogo: un’angusta rientranza della costa, solitaria, protetta da pareti quasi a picco e da ammassi di scogli, in una zona già evitata per la fama data dalle sue pericolose correnti. L’aveva scoperta da parecchi mesi ormai, e quando il desiderio di uscire si faceva troppo forte, era lì e lì soltanto che aveva preso ad aggirarsi; poiché non vi aveva mai visto anima viva, riusciva quasi a sentirsi davvero tranquilla, certo più che in qualsiasi altro tratto di costa avesse mai precedentemente visitato.
La giovane si accoccolò comodamente su uno scoglio a pelo d’acqua, rivestito di morbide alghe, lasciando spaziare il proprio sguardo verso le rocce e poi su, lungo la parete del promontorio e su ancora e ancora, fino al cielo terso, dipinto dell’azzurro pieno dell’estate. I pensieri parevano dissolversi mentre si abbandonava al piacere di quella serena contemplazione, ancor più sentita in quanto, come al solito, rimandata a lungo: molto a lungo, troppo, finché le era stato impossibile aspettare ancora.
Il sospiro del vento si alzò, dapprima quasi impercettibile, sfiorando la sua pelle e il mare e l’erba; poi si gonfiò, di tanto in tanto, a soffiare fra le fronde, a increspare il pelo dell’acqua in mille scintille di sole riflesso, a carezzarle il volto come una mano gentile: Lae si trovò presa nell’incanto del luogo senza quasi rendersene conto, e si abbandonò ad esso.
Ne ho troppo bisogno. E poi, qui non viene nessuno…
Le pareva ora che i suoi occhi abbracciassero il cielo intero e lo prendessero in sé, l’infrangersi delle onde aveva il ritmo del suo cuore, l'oro del sole la avvolgeva nel suo abbraccio di luce e di calore; e il calore era anche quello degli animali che si muovevano furtivi fra la vegetazione e le rocce lì intorno,  il pulsare dell’acqua era animato dalle creature che vivevano in essa,  l’aria viveva dell’esistenza di uccelli e insetti e il suo tremolio era quello della luce specchiata e spezzata dal mare… e tutto vibrava con lei, in lei…
Lasciò che l’emozione della stessa Esistenza crescesse dentro di sé, colmandola, finché fu troppo anche per lei: finché, quasi per semplice, istintivo riflesso, se ne fece tramite.

Si riscosse che ormai i raggi del sole s’erano fatti d’oro cupo e bassi sull’orizzonte; un brivido improvviso l’aveva scossa facendola quasi tremare, ma non era freddo, oh no, affatto, e con una stretta al cuore Lae si impedì di illudersi al riguardo. Conosceva quella sensazione, le era bastato provarla quella prima volta, in un tempo che ora le pareva incredibilmente lontano, per averla chiaramente marchiata nella mente e nell’animo: la conosceva, come da allora l’aveva sempre riconosciuta.
Anche qui, anche qui… oh, no, no…
Si lasciò scivolare silenziosamente in acqua, scrutando con attenzione gli scogli sommersi ed esplorando il fondale, lasciandosi guidare dai flussi, cercando un indizio, cercando…
Ed ecco, finalmente: là, una macchia rosea abbandonata nella nicchia fra due rocce, premuta contro di esse dalla spinta di una forte corrente; era una brutta situazione, ma lei lottò contro quella forza, tirò e strattonò e imprecò finché riuscì a vincere la corrente e portare il povero corpo in superficie, trascinandolo sulla riva. Ansante per lo sforzo, lo osservò con il cuore stretto, perché sapeva già cosa avrebbe trovato: ma non poteva impedirsi di sperare che forse, questa volta…
Era un ragazzo giovane e robusto ( se era stato faticoso, dannazione, da trasportare, per lei!) ma tutta la sua energia e la sua forza non avevano potuto nulla contro quella del mare.
Stupido ragazzo! Perché venire in questo posto isolato e pericoloso, quando c’erano tante, tante spiagge e insenature lungo la costa, ben accessibili e sicure, dalle acque meno infide e ingannevoli di queste? Ma forse, forse nemmeno era venuto per il mare: in fondo sarebbe bastato che fosse passato nei dintorni, del resto aveva ancora addosso ‘vestiti’… Forse c’era qualche sentiero a ridosso delle pareti, forse c’era un passaggio fra le rocce? O forse, che avesse potuto… dal promontorio? Fin da lassù?
Laerenlee rimase a contemplare a lungo quel corpo senza vita, accarezzandone il volto umido e pallido con lo sguardo e con dita leggere, cercando di arginare l’onda di tristezza che sentiva gonfiarsi dentro di sé. Oh,  inutile rattristarsi, inutile tentare di frenarsi, inutile… tutto! Vrel ha ragione: non posso farci nulla! La nostra natura… non posso impedirmi di vivere! Non… non mi ero quasi accorta, di aver iniziato a Cantare… non posso vincere l’istinto…
E mentre ancora il suo cuore piangeva per quel povero giovane, sentì che, inesorabile, qualcosa si faceva nuovamente strada in lei; prima una sensazione lontana, una scintilla… oh, di nuovo no, di nuovo… poi l’emozione si gonfiò, senza che lei avesse la forza, o la volontà, di opporvisi. E i raggi rossastri del sole al tramonto erano dita che si allungavano verso di lei, dita insanguinate come ora sentiva essere le proprie, lo scintillio cupo del mare si rifletteva nel suo animo, l’ombra ai confini del cielo avanzava fagocitando la luce e la gioia e il giorno e la vita, le stelle erano lucenti lacrime di tristezza eternamente fissate a rispecchiare il suo stesso dolore: e lei doveva, doveva dare sfogo a tutto questo, doveva esprimersi, e sapeva che cera solo quel modo per farlo.
Rinunciò all’inutile lotta con se stessa, rinunciò a trattenere il canto alieno e meraviglioso che le sgorgò spontaneo dalle labbra, intrappolandola nel suo stesso incanto, un canto che senza parole raccontava un’inenarrabile emozione: l’emozione di chi era in grado di avvertirsi come parte del tutto, e che avvertiva il tutto in sé , che sentiva la propria vita riflessa in quella della Vita intorno, le proprie emozioni amplificate nel cielo e nella terra e nel mare e rese talmente intense da colmare l’animo e poi ancora più forti, tanto da dover essere liberate. Un’emozione che solo lì, fra mare terra cielo, era possibile cantare. 
Quel pizzico di razionalità che ancora sopravviveva in lei sperava ardentemente che non ci fossero altri intorno, che il ragazzo fosse venuto solo, che nessuno potesse sentire: ma la sua stessa natura la faceva cantare ancora e ancora e più forte, facendole dimenticare ogni altra cosa, un canto stavolta triste quanto il precedente era stato gioioso, un canto di un fascino indicibile. E Lae cantava mentre adagiava il cadavere nell’acqua, in un punto in cui sapeva che le correnti l’avrebbero condotto verso una zona dove altri uomini l’avrebbero trovato.
Chissà, forse questa morte sarà conferma per la fama di pericolosi di questi luoghi, forse li diranno maledetti, forse stavolta nessuno si avvicinerà più, mai più…
Nel canto della giovane si intrecciò una nota di speranza: ma era flebile, perché Lae sapeva quanto potesse essere curioso e azzardato l’uomo, e quanto poco peso desse ormai a prudenza e avvertimenti. Sapeva che, comunque, non avrebbe più avuto il coraggio di tornare lì, anche se non aveva idea di dove poter trovare un posto ancor più isolato e solitario.
Dallo scoglio, continuando a cantare, Lae osservò il corpo allontanarsi lentamente, in balia delle onde; quando non riuscì più a vederlo, salutò con un ultimo, desolato suono il sole morente, e con un colpo deciso della lunga coda flessuosa, tornò a tuffarsi in mare, fendendo l’acqua con eleganza, diretta a casa. E tentando di celare, per quanto possibile, la propria tristezza, perché non voleva, non voleva, che le sue sorelle la rimproverassero ancora per non saper accettare le conseguenze dell’essere quello che era.
Ma, come ogni altra volta che le fosse capitato, trascorse la serata in disparte, in silenzio, imprecando fra sé contro il Destino, o Chiunque fosse stato tanto crudelmente beffardo da fare del canto una necessità per la sua gente, e un richiamo di morte per l’uomo.



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Data di pubblicazione 4/10/2001
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